
Il mitico barometz
La storia del Barometz, l’animale mitologico del cotone, scoperto nel museo del cotone al Cairo, ci ha incuriosito così tanto da iniziare una ricerca approfondita cominciando da vecchi libri inglesi dell’ 800. “La verità giace in fondo al pozzo” dice un antico proverbio. Nella ricerca per l’origine di questi miti e leggende più a fondo possiamo scavare nel passato più grande è la possibilità di scoprire la verità. La prima testimonianza scritta relativa al Barometz o Agnello Vegetale della Tartaria si trova nei testi di Erodoto e risale intorno al 442 a.C. Il noto storico greco, nato ad Alicarnasso nel 484 a.C. e morto a Thuri nel 425 a.C., narrava così, il presunto incontro con la mitica “creatura” nel suo peregrinare:
“…frutti di alberi selvaggi la cui lana è di una bellezza tale da superare quella di una pecora….”. Il nome “Barometz” deriva appunto da un antico termine che significa ”agnello” nella lingua della Tartaria, la “grande steppa” che includeva tutti quei territori che oggi indicheremmo con le regioni del Caucaso, la Siberia, la Turkmenistan, la Mongolia e la Manciuria. Dopo una prima affermazione di Erodoto nel 442 ac, troviamo una seconda traccia della possibile esistenza del Barometz nel libro di Claude Duret (1570/1611 Moulins) ““Histoire Admirable des Plantes “ del 1605. Qui l’autore dice di aver letto in un libro ebreo molto antico del 463 dal titolo “Talmud Ierosolimitanum” (libro scritto da un rabbino ebreo di nome Jochanam) che un personaggio veramente esistito di nome Chusensis nativo dell’Etiopia affermava ,sotto l’autorità del Rabbino Simeon, che esisteva sicuramente un paese dove cresceva una pianta zoofita (forma intermedia tra animale e vegetale ) o pianta animale chiamata in lingua ebrea “Feduah”. Tale pianta era descritta come un agnello dal cui ombelico cresceva una radice attaccata al terreno come una zucca e a secondo della lunghezza dello stelo divorava tutta la vegetazione alla quale era in grado di arrivare . I cacciatori che andavano alla ricerca di questa creatura riuscivano a catturarla solo tagliando questo stelo o radice con dardi o frecce. Le ossa dell’animale morto venivano poi messe nella bocca di colui il quale, subito posseduto da uno spirito divino, riceveva il dono della profezia e poteva prevedere il futuro durante cerimonie ed incantesimi. Ma questa strana creatura era realmente il mitico “Barometz”?
Il nostro amico del 1600 era, come noi, un tipo curioso e volle approfondire l’argomento. Anche noi come il caparbio Claude Duret abbiamo scovato altre notizie riguardo il Barometz e per questo abbiamo indagato negli scritti dei membri colti della comunità ebraica. Nel 1876, il Dr Hermann Adler, capo rabbino delegato della congregazione unita dell’impero britannico, documentò che nel Mishna Kilaim, una porzione del Talmud (cap VII paragrafo 5) si poteva leggere che “… creature chiamate Adne Hasadeh (letteralmente “Lord dei campi”) erano considerate come bestie” . Inoltre nella stessa porzione del Talmud un commentatore, rabbino Simeone, di Sens (morto circa nell’anno 1235), scriveva che un animale sulle montagne viveva per mezzo del suo ombelico e che se gli veniva tagliato questi non poteva vivere. A questa affermazione faceva eco il Rabbino Meir figlio di Kallonymos di Speyer dove confermava che tale animale era chiamato Jeduah o Fedua.
Il Fedua "vive e cresce per mezzo di una specie di largo stelo che viene fuori da una radice del terreno ed ha sembianze quasi umane nella faccia nel corpo nelle mani e nei piedi. Dal suo ombelico è collegato lo stelo che spunta dalla radice. Nessuna creatura può avvicinarsi allo stelo senza avvolgervisi e morire. Dato che è legato allo stelo divora tutta la vegetazione circostante. Quando qualcuno lo vuole catturare nessun uomo osa avvicinarsi, ma essi strappano lo stelo finchè non si rompe, dopo di che l’animale muore".
La ricerca continua e ci sta realmente appassionando cercando di trovare il collegamento tra il Barometz e il cotone. Sempre ricercando negli scritti dei membri colti della comunità ebraica ,troviamo in un capitolo intitolato “Gli africani nella grande Tartaria “ tratto dal libro di Maase Tobia (Venezia 1705) che tali africani della provincia di Sambulala si erano arricchiti per mezzo di semi come quelli di zucca ma di taglia più piccola.Questi semi crescono e fioriscono come uno stelo dall’ombelico di un animale chiamato “Barometz”che nella loro lingua significa agnello . “La sua altezza è metà cubito (1 cubito =ca44,4 cm ) ,i suoi zoccoli sono spaccati,la sua pelle è soffice ,la sua lana è adatta per i vestiti,ma non ha le corna .La sua carne sa di pesce e il sangue è dolce come il miele”.
Molteplici sono le polemiche sull’esistenza o meno di questa strana pianta fra gli studiosi dell’epoca. La più famosa, inerente alle differenti teorie su come questa pianta animale potesse vivere, fu quella tra Girolamo Cardano di Pavia e Giulio Cesare Scaligero. Quest’ultimo asseriva che: “…dove l’atmosfera era spessa e densa ci potrebbe, forse,essere una pianta avente sensazioni e anche una carne imperfetta, come quella dei molluschi o dei pesci”. Girolamo Cardano invece provò ad esporre l’assurdità delle affermazioni spiegando che se avesse del sangue avrebbe dovuto avere anche un cuore di cui il suolo dove cresce la pianta non era provvisto. Siamo verso metà del 1500 e sapete chi ebbe la meglio?
Julius Caesar Scaliger, appoggiato da altri studiosi (tra cui Duret) e citando Aristotele obbligò Cardano a confessare che:”…in un posto dove l’aria era densa e pesante potrebbero esistere, per come erano state descritte, vere piante animali in aggiunta alle spugne, alle ostriche e alle meduse che tutti conoscono come vere piante zoofile...”.
Dopo questa divertente ipotesi che l’aria della Tartaria possieda il “peso” e la “densità” necessari per la crescita di questa pianta /animale, Duret cita il libro di Sir John Madenville dove il Barone Von Herbestein raccontava che: “di tutti gli strani e meravigliosi alberi, arbusti, piante ed erbe che la natura o piuttosto, Dio stesso, ha creato o che creerà in questo universo, non sarà mai visto niente di più meritevole di ammirazione e contemplazione come questa Barometz della Scintia o Tartaria pianta che è anche animale e che bruca e mangia come un quadrupede.”
Eravamo rimasti al Barometz che gironzolava in Paradiso il primo giorno della seconda settimana dopo la creazione insieme a tutte le altre creature terrestri. Secondo il poema di Guillame Salluste du Bartas veniva descritto come un montone appena nato che immergeva una radice vivente dal suo ombelico al terreno e che muore il giorno dopo che cessa di brucare l’erba che cresceva intorno. ….O mirabile della mano divina! La pianta di carne e sangue, l’animale con la radice!
Il dott. Erasmus Darwin nel 1781 contribuì alla letteratura del soggetto con le seguenti righe: "Attorno al polo le fiamme dell'amore aspirano, e il cuore ghiacciato sente il fuoco segreto, cullato dalla neve, e soffiato dal vento artico, splendi, gentile Barometz, nell'aria d'oro; radicato nella terra, da dove ogni piede spaccato discende, e attorno al suo flessibile collo che lei dirige, cresce il grigio muschio e il timo, o supera con la rosea lingua la struggente brina; occhi con muta tenerezza, e sembra belare un " agnello vegetale”.